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Bottega di Ambrogio Barocci
Ritratti di Federico da Montefeltro e Ottaviano Ubaldini
Dopo il 1474
Bassorilievo in pietra (lunetta),  cm 50 × 110
Urbino, Galleria Nazionale delle Marche
Inv. S 93

 

La lunetta di Urbino e i due medaglioni di Mercatello sul Metauro (PU), con i ritratti ufficiali di Federico e Ottaviano, celebrano l’immagine del potere e replicano la medesima solennità del dittico di Piero della Francesca, del 1472 circa, con Federico e la consorte Battista Sforza. In un certo senso raffigurano, per usare le parole di Luigi Michelini Tocci (1986), “quella specie di diarchia di fatto alla quale aveva accennato, sia pure indirettamente, il Regiomontano, nei termini stessi che la configuravano, alla corte pontificia, il Bessarione, l’Alberti, il Biondo e tanti altri”, i quali consideravano alla pari i due ‘fratelli’ designandoli come i “principi dell’Umbria”.
Questa diarchia, o meglio, questa condivisione del potere tra i due, viene rappresentata anche in un epigramma di Giannantonio Campano, indirizzato a Ottaviano, che celebra alla pari il rango dell’Ubaldini e quello di Federico. Quest’ultimo viene ricordato come “il guerriero invitto, il principe delle armi”, mentre “Ottaviano è il grande amico delle Muse, il principe della cultura e dell’arte”. Per Michelini Tocci la lunetta urbinate “è l’esatta trasposizione iconografica dell’epigramma” del Campano, in quanto raffigura sullo stesso piano i profili dei due ‘principi’, uno di fronte all’altro e accompagnati dai loro attributi iconografici, che li caratterizzano, rispettivamente, come il “principe della guerra” e il “principe della cultura e dell’arte”: l’armatura, un elmo, uno stendardo, nel quale sono raffigurati l’onorificenza della giarrettiera (non bene conservata) e una fortificazione, per Federico; un ramoscello di olivo e due libri, di cui uno aperto e l’altro chiuso, per Ottaviano.
La lunetta potrebbe anche essere la trasposizione del poema mitologico di Gian Mario Filelfo, come ben suggerisce Alessandra Bertuzzi (2018), intitolato Martias e datato 1464. L’opera, il cui codice era presente nella biblioteca di Federico e a lui era dedicata, identifica quest’ultimo come “un novello Eracle, nato dalle nozze di Marte e Minerva”, mentre Ottaviano viene presentato come il gemello di Eracle, Ificle, nato da genitori mortali e “devoto alla pace, alla scienza e alle arti”. In questa maniera Filelfo assegna ai due i loro specifici ambiti di azione, proprio come l’artista del bassorilievo, identificando Federico come “figlio di Marte, quindi eroe militare”, e Ottaviano come “il principe della pace e patrono delle arti, rispecchiando così un secondo Augusto”.
Attribuita tradizionalmente a Francesco di Giorgio Martini, che ne ha probabilmente fornito i disegni, l’esecuzione a bassorilievo della lunetta, databile dopo il 1474, potrebbe riferirsi alla bottega di Ambrogio Barocci. Gli indizi, più che sui ritratti, ricadono su alcuni attributi iconografici, l’elmo e il libro chiuso, che ritornano similmente e con la stessa resa plastica in altre opere del lombardo, come in certi rilievi del Fregio dell’arte della guerra, benché non siano ben conservati, e in alcuni particolari dei Portali della guerra, soprattutto quello di accesso all’Appartamento della Jole, collocati nel piano nobile della residenza di Federico (Bernardini 2020).
Sebbene non se ne conosca la collocazione originaria all’interno del Palazzo ducale di Urbino, la lunetta doveva sicuramente costituire la sovrapporta di un importante ambiente dell’edificio. Nel 1897 Egidio Calzini asserisce che un ritratto in bassorilievo dell’Ubaldini, certamente l’opera in oggetto, compare nelle soprallogge del palazzo, assieme a quelli “di Battista Sforza, di Federico e di Guidobaldo da Montefeltro”, senza far menzione della sua forma a lunetta e soprattutto senza indicarne il doppio ritratto con Federico. Nel 1918, durante la Soprintendenza di Luigi Serra, la lunetta, già murata nelle soprallogge, viene trasferita nelle collezioni della Galleria per essere esposta nella Sala della Jole (Serra 1918, 1920, 1922). Franco Mazzini (2000), incurante delle fonti finora considerate, facendo riferimento al testo del 1904 di Cornelio Budinich, ritiene che la lunetta facesse parte dell’arredo stabile della biblioteca e che fosse murata, internamente, al di sopra della porta d’ingresso. In realtà, all’inizio del XX secolo, Budinich vede un bassorilievo che attribuisce a Francesco di Giorgio Martini, ora non più in loco, raffigurante il solo ritratto di Federico, “conservato ancora immurato sopra la porta della biblioteca, sotto le logge terrene”, quindi esterno all’ambiente. Precedentemente, ancora nel 1897, anche Calzini vede lo stesso bassorilievo al di sopra della porta della biblioteca, “a cui si accedeva dal cortile”. A dar ragione al Mazzini, però, è l’impronta di una stuccatura che compare internamente al di sopra della porta della biblioteca, la cui curvatura e le cui dimensioni ben si proporzionano a quelle della lunetta con Ottaviano e Federico. Questo ci permette di ipotizzare che l’opera, originariamente, fosse collocata nella biblioteca del Palazzo Ducale di Urbino, la sala più indovinata, per certi aspetti, in cui inserire l’immagine dell’umanista Ottaviano (Bernardini 2020), il quale dedicò tante energie nell’allestirla con i più lussuosi e raffinati codici del tempo, che ritroviamo come suoi attributi nel ritratto stesso della lunetta. Il libro, infatti, dai tempi della sua formazione a Milano, come precisa ancora Michelini Tocci, diviene il “compagno inseparabile della sua vita, e quasi il suo segno di riconoscimento, il suo simbolo, la sua «impresa», una specie di elemento araldico nella sua iconografia”.

Andrea Bernardini

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