Tiziano Vecellio
(Pieve di Cadore, [BL], 1483/1485 o 1488/1490 – Venezia, 1576)
Ultima Cena
Resurrezione di Cristo
1542-1544
Olio su tela, cm 163 × 104 ciascuno
Urbino, Galleria Nazionale delle Marche
inv. DE 239
inv. DE 240
Dalla chiesa di Santa Maria di Pian di Mercato della confraternita del Corpus Domini di Urbino
L’Ultima Cena e la Resurrezione di Cristo di Tiziano costituivano in origine uno stendardo processionale commissionato al pittore dalla confraternita del Corpus Domini di Urbino. L’opera, capolavoro del ‘tempo di mezzo’ del maestro (Dal Poggetto 2003), viene realizzata a Venezia tra il 1542 e il 1544, giungendo a Urbino nel giugno di quest’ultimo anno, come testimoniano i documenti di pagamento conservati nell’archivio della confraternita (L. Moranti 1990).
Nel 1545 le due facce dello stendardo vengono separate dal pittore Pietro Viti, figlio del più celebre Timoteo, per essere esposte ai lati dell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria di Pian di Mercato, sede della congregazione urbinate. Lo stesso Pietro dipinge sui bordi delle due tele anche un fregio a candelabra su fondo oro.
Con la demolizione della chiesa, ceduta dai confratelli per permettere di costruire il palazzo del collegio voluto da Clemente XI, i dipinti passano nella chiesa di San Francesco di Paola, nuova sede della confraternita dal 1708. Nel 1861 sono catalogati da Giovanni Battista Cavalcaselle e Giovanni Morelli, nel loro viaggio di ricognizione del patrimonio ecclesiastico nelle Marche e nell’Umbria, e nel 1866 entrano sotto forma di deposito nel museo dell’Istituto di Belle Arti di Urbino.
Il tema dell’Ultima Cena, proprio per essere inserito in uno stendardo, è risolto verticalmente ponendo in diagonale la tavola che accoglie splendidi brani di natura morta. La scena, con le concitate gestualità degli apostoli, è inserita in un’inquadratura architettonica di sapore lombardo e la veduta, al di là dell’arcata e della bifora, presenta un edificio a pianta centrale di ricordo bramantesco (W. Suida 1936) e una piramide molto simile alla Piramide Cestia di Roma (H.E. Wethey 1969).
La Resurrezione è divisa in due parti. Nella zona inferiore si nota una grande inquietudine nella scena dei soldati e del sarcofago, realizzata con rette oblique e spezzate che conferiscono movimento e drammaticità all’insieme. Al contrario, nella parte superiore, tutto è calmo e sereno e il Cristo benedicente si libra sul cielo all’alba, con sembianze statuarie e apollinee: profonda rimeditazione del Cadorino sul più animato Cristo risorto del Polittico Averoldi (G. Bernini Pezzini 1976) della collegiata dei Santi Nazaro e Celso di Brescia, datato 1522.
L’ultimo restauro, eseguito nel 2018 dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma, ha riconsegnato la lucentezza e vivacità dei colori e il tocco vibrante quasi impressionista del pennello, celati per molti decenni sotto le vernici ossidate. Durante l’intervento si sono scoperte anche le cornici dipinte dal Vecellio, occultate dal fregio di Pietro Viti, le cui tracce di color rosso e bianco sono oggi visibili solo lateralmente nei due dipinti.
Tiziano aveva realizzato magnifici dipinti per i Della Rovere, tra cui i loro ritratti e molte opere di soggetto sacro. Guidobaldo II Della Rovere, fra l’altro, nel 1538 acquista dal pittore una delle tele più famose della storia dell’arte: la sensualissima Venere di Urbino, ora conservata agli Uffizi. Con la devoluzione del Ducato di Urbino allo Stato della Chiesa (1631) e il conseguente matrimonio dell’ultima discendente della famiglia, Vittoria, con Ferdinando II de’ Medici, questi capolavori passarono nelle collezioni fiorentine. Lo stendardo è dunque l’unica opera di Tiziano rimasta a Urbino.
Andrea Bernardini